Mutilazioni genitali femminili: combatterle è difficile ma non impossibile

Quali sono le motivazioni che portano ancora oggi alla violenta pratica delle mutilazioni genitali femminili in diversi Paesi? Un argomento delicato approfondito con Isabella e Khadra, dell'associazione Nosotras, che ci hanno dato la speranza che un futuro diverso sia possibile.

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Le mutilazioni genitali femminili sono una violazione dei diritti delle donne e delle bambine.

Eppure, attualmente, ci sono ancora ben oltre 30 Paesi africani che eseguono queste pratiche così dannose per la salute delle donne, un dato inquietante di cui non ero affatto a conoscenza.

Fonte: UNICEF

A parlarmene sono state Isabella e Khadra, due donne che conoscono bene l’argomento e che ho contattato per comprendere un po’ meglio questo complesso fenomeno.
Isabella Mancini  è la presidente di Nosostras Onlus, un’associazione interculturale di donne italiane e migranti che si occupa di tematiche di interesse per le donne come, per esempio, l’empowerment femminile e la lotta a fenomeni come le mutilazioni genitali femminili (o MGF).
Khadra Omara  invece è operatrice e responsabile per la violenza di genere nella stessa associazione e, oltre alla sua esperienza in tal senso, è stata anche la sua storia personale e familiare a farmi comprendere come stia cambiando la percezione di queste pratiche pure tra donne che provengono da contesti dove sono ancora un fenomeno diffuso.

Associazione nosotras
Khadra Omara e Isabella Mancini durante l’intervista con Raquel Baptista, autrice di Frame Zone.

Dell’intensa conversazione avuta con le due, una frase in particolare mi ha comunicato la speranza che il fenomeno in questione non sia un qualcosa di immutabile: «io sono figlia di una donna mutilata e non sono stata mutilata: questa è già, secondo me, una dimostrazione che questa pratica si può debellare» mi ha infatti raccontato Khadra, sottolineando l’importanza di una «sensibilizzazione che viene tramandata di generazione in generazione» nel combattere le mutilazioni genitali femminili. La sua storia, perciò, non può che darci la speranza che il cambiamento sia davvero possibile, anche quando si parla di tradizioni così antiche e radicate.

Riponendo fiducia nel fatto che eliminare le mutilazioni genitali femminili sia possibile, proviamo a scendere nel dettaglio di questo argomento.

L’estrema violenza e le terribili conseguenze delle mutilazioni genitali femminili

Quando si parla di mutilazioni genitali femminili, come mi ha spiegato Isabella, si parla di una serie di pratiche che possono essere eseguite in modalità molto diverse a seconda del gruppo etnico e delle relative tradizioni.

Sentivo a volte parlare di infibulazione usata (erroneamente) come un sinonimo di MGF ma ho scoperto che in realtà il primo termine corrisponde soltanto a «una delle forme di danno che vengono fatte ai genitali femminili».

Le differenti procedure possono comportare la rimozione parziale o totale dei genitali esterni femminili e altre lesioni a questi organi, per ragioni non mediche bensì collegate ad aspetti socio-culturali.

tipologie di mutilazioni femminili
Fonte: Neodemos

Anche l’età in cui viene praticata la mutilazione genitale femminile può variare molto a seconda della cultura e, di conseguenza, come fa notare la presidente di Nosotras, i ricordi che le vittime avranno di quel momento traumatico potranno essere molto diversi.
Alcune mutilazioni vengono realizzate nelle prime settimane di vita delle bimbe, per cui la probabilità di avere anche un vago ricordo dell’intervento sarà quasi nulla. In altre, invece, vengono eseguite in età puberale, come un rituale di passaggio dall’età giovane all’età adulta. In altre ancora, a subire questa pratica sono delle donne in età adulta ed è facile immaginare come in questi ultimi casi il ricordo dell’esperienza rimanga molto vivo nella mente delle vittime, praticamente impossibile da dimenticare.

Fonte: who.int

Oltre a tutte le conseguenze che queste pratiche comportano dal punto di vista psicologico, Khadra ricorda che le mutilazioni genitali femminili portano anche a una privazione della propria sessualità e della possibilità di poter sperimentarla appieno.

Ma la questione è ancora più complessa e un aspetto che mi ha colpito in maniera particolare riguarda l’impatto delle MGF sull’intero percorso di vita di una donna. Infatti, come mi ha fatto notare Khadra, «la realizzazione di quanto questa pratica sia debilitante per una donna, arriva col passare degli anni» in dei momenti specifici della vita, cominciando dall’arrivo delle mestruazioni, un’esperienza che tende a essere particolarmente dura per chi ha subito questa pratica.

Inoltre,

«il primo rapporto sessuale, per chi ha subito l’infibulazione, è una vera violenza: è la violenza nella violenza».

Nello stesso modo, non possiamo non soffermarci su cosa «significa per una donna infibulata mettere al mondo un bimbo»: da questo punto di vista, le problematiche per quanto riguarda la salute della donna possono essere davvero complesse. In effetti, «i passaggi che devono affrontare gli operatori sanitari in questi casi sono molto delicati e ci vuole una conoscenza reale del fenomeno, […] di come può rispondere il corpo femminile a tutto ciò che riguarda appunto una gravidanza in quelle condizioni».

MGF, pregiudizi e tabù legati al corpo femminile

Nonostante il tipo di procedura possa variare molto da un Paese all’altro, la radice e i miti a esse collegate sono sempre legati alla «purezza della donna e alla possibilità di tramandare l’onore della famiglia da una giovane ragazza a una donna, che così diventa parte della comunità a cui fa riferimento», mi ha spiegato Isabella.

Ma a questo proposito, la presidente di Nosotras ha sottolineato una questione interessante: i pregiudizi relativi al corpo femminile sono in realtà un fenomeno globale, presente in una buona parte delle culture.

«Credo che non ci sia un Paese nel mondo nel quale si possa parlare tranquillamente della propria vulva senza che questa possa essere un tabù

Argomenti come la sessualità, la riproduzione o il ciclo sono tutti temi di cui spesso si fa fatica a parlare apertamente, anche nel nostro Paese. E sono proprio i tabù associati al corpo femminile a rendere ancora più duro il compito di aumentare la consapevolezza su un tema così importante come quello della mutilazione genitale femminile: è facile pensare infatti come questa mancata apertura possa rendere ancora più difficile, per la maggior parte delle donne, il compito di fare da testimonial o ambassador o attivista nella lotta a questa pratica.

Perché le MGF vengono eseguite ancora oggi? Le principali motivazioni

Pur avendo identificato i miti e i tabù che tendono a favorire il ricorso a queste pratiche, è comunque difficile per me capire come possa un genitore sottomettere le proprie figlie a una pratica così pericolosa e traumatica.

La questione chiaramente non manca di complessità anche perché, per comprendere fino in fondo le motivazioni che portano a simili decisioni, dovremmo provare a immedesimarci in quella che è la cultura o, per essere più precisi, la grande diversità di culture e di comunità che eseguono questo genere di pratiche. Parliamo infatti nella maggior parte dei casi di persone nate e cresciute in contesti dove simili tradizioni sono parte di un’eredità tramandata nel corso degli anni e dove rientra nella “normalità”.

 

Fonte: BBC

Come per qualsiasi tradizione e cultura (compresa la nostra), so bene che guardare al di fuori del proprio contesto di riferimento è spesso arduo, se non quasi impossibile, specie quando si tratta di provare a comprendere il perché di pratiche talmente violente.

Per molti genitori, sottomettere una figlia a questa pratica però significa dare a una giovane donna la possibilità di essere inclusa «all’interno del circuito della vita sociale» del suo gruppo di appartenenza.

Per molti di loro infatti, che sono nati in un simile contesto, non ci sono delle alternative a questa realtà. La decisione di questi genitori, dunque, è spesso spinta dal desiderio di garantire «a una figlia l’accesso a una vita sociale che altrimenti le sarebbe negata», come spiega Isabella Mancini.

La mancanza di una legislazione per vietare la MGF è sicuramente un altro elemento che rende difficile l’eradicazione di queste attività in alcuni Paesi come, per esempio, la Somalia dove non esiste nessun tipo di tutela per le donne dal punto di vista legislativo.

Fonte: Onu.delegfrance.org

Ma c’è un altro aspetto fondamentale che Isabella ci tiene a sottolineare e che riguarda le complesse dinamiche socio-economiche dei Paesi dove le mutilazioni genitali femminili sono più diffuse: pensando per esempio alla Somalia o al Niger, a incidere sul mantenimento di queste pratiche, specie fra le comunità più povere e caratterizzate da un basso grado di istruzione, sono probabilmente anche le precarie condizioni in cui vive una buona parte della popolazione.

Isabella, tra l’altro, ha sottolineato anche che in molte di queste culture

c’è una mancanza di conoscenza di base del corpo e dell’anatomia femminile e dunque anche di tutte le conseguenze che simili pratiche possono comportare dal punto di vista fisico e psicologico per una donna.

Come la pandemia da coronavirus ha reso la lotta alle mutilazioni genitali femminili ancora più difficile

Da questo punto di vista, se la lotta a queste tradizioni era già dura, sembra che la diffusione del COVID-19 abbia amplificato ancora di più il problema.

Khadra, per esempio, ha menzionato l’esempio del suo Paese d’origine, la Somalia, dove a causa dell’emergenza sanitaria e del lockdown, molte bimbe non sono potute andare a scuola, portando a un aumento del numero di mutilazioni:

«addirittura c’erano i mutilatori che andavano proprio a bussare porta per porta», sfruttando il periodo di chiusura e di allontanamento dalla scuola per eseguire queste procedure che molti genitori hanno autorizzato.

Anche se la notizia è raccapricciante, Khadra ha sottolineato un aspetto da non sottovalutare, ossia, «come l’istruzione, e, quindi, la vita di comunità, può essere uno strumento utile per far uscire una bimba da questa situazione».

Fonte: pixabay

Ma il cambiamento è possibile (ed è già in atto): come combattere le MGF

Se quanto analizzato fin qui evidenzia l’enorme sfida che rappresenta la lotta alle mutilazioni genitali femminili, ascoltando l’esperienza di Kadra e di Isabella è difficile non essere colpiti da un messaggio in particolare: il cambiamento è possibile ed è iniziato già da un po’.

Come già detto, il racconto di Khadra ce lo dimostra:

«le madri, coloro che hanno subito questa pratica, sempre più difficilmente riescono a tramandare questa pratica alle figlie, perché sanno cosa hanno passato e cosa hanno dovuto attraversare a livello fisico e a livello psicologico».

È importante a questo punto menzionare il ruolo non solo dell’istruzione ma anche di esperienze come quello della migrazione. Da un lato, per quanto concerne le diaspore africane, spesso ci si porta dietro molto della cultura di origine e, nel caso delle donne mutilate, questa tradizione è certamente qualcosa che portano segnato nel proprio corpo. Ma è vero anche che la decisione di lasciare la propria comunità e di venire in un Paese come l’Italia, per esempio, spesso consente alle donne di avviare un percorso di emancipazione individuale e anche poi di comunicare le proprie scoperte alle proprie figlie, alle nipoti e in generale, alle nuove generazioni, spingendo così al cambiamento.

Fonte: frame tratto da un video di Save the Children Italia

A questo proposito, Isabella mi ha detto che «le donne che si trovano a immigrare possono avere accesso a una capacità di gestione della propria vita diversa rispetto al contesto sociale di riferimento tradizionale […]. Questo permette tante riflessioni e la capacità di prendere tante decisioni diverse», proprio com’è successo alla mamma di Khadra.

Quest’ultima però mette l’enfasi sul compito delle “seconde generazioni”, ossia di tutti quelli che, come lei, sono nati in Italia ma sono discendenti di persone provenienti da Paesi dove queste pratiche sono diffuse: anche queste “nuove generazioni” devono farsi sentire e magari diventare «l’anello di giunzione per far comprendere a due diverse culture quanto poco in realtà siano differenti tra loro».

Come aggiunge però, è anche necessario

«continuare il lavoro di sensibilizzazione e di contatto con le comunità di origine, che è un po’ quello che noi abbiamo cercato di fare nella nostra associazione [Nosotras] con le comunità di provenienza». 

A questo proposito, Khadra cita come esempio il lavoro di supporto all’associazione locale Coniprat, in Niger, per contribuire a sensibilizzare le mutilatrici presenti in questo Paese sui pericoli di questa pratica. Coniprat lavora a stretto contatto con la popolazione, specie nelle zone dove la pratica è più diffusa, e grazie a iniziative come la campagna Ex Ex“, le mutilatrici che decidono di cambiare mestiere vengono sostenute nel loro percorso di ricerca di un lavoro alternativo.

In questi Paesi hanno un ruolo imprescindibile anche molte «attiviste, scienziate, ginecologhe, infermiere e dottoresse africane che, in tutti questi Paesi dove ancora viene realizzata questa pratica, si sono battute in questi anni per avere una legislazione» che fosse innanzitutto in grado di vietare le MGF ma anche di ottenere dei fondi per poter promuovere delle campagne anche nei villaggi più remoti.

Invito a sostenere i progetti dell’associazione Nosotras. Fonte: Sito di Nosotras 

Oltre al sostenere un’associazione locale come Coniprat, Nosotras svolge anche un lavoro di sensibilizzazione in Italia, rivoto alle persone e alle comunità provenienti da Paesi dove le MGF sono ancora una realtà, impegnandosi per far loro «conoscere la legge e le alternative, per aiutare le donne a fare il loro percorso di autonomia, di crescita e di empowerment».

Nei Paesi più poveri è proprio la difficoltà nel far conoscere “strade alternative” a ritardare il «passo di emancipazione» che tante donne, come la madre di Khadra, sono già riuscite a fare:

«mia mamma è una donna laureata, ha lavorato, era insegnante e veramente ha fatto anche lei un viaggio molto lungo, attraversando diversi Paesi per arrivare in Italia. Però ha sempre avuto le idee chiare» ed è «importante riportare proprio questa forza che viene dai nostri genitori, oggi sul campo, qui in Italia».

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