Buddismo in Italia: i numeri, le figure chiavi, i centri in cui avvicinarsi alla disciplina

Il buddismo in Italia è la terza religione per penetrazione: quanti fedeli vi si avvicinano, però, perché davvero desiderosi di trovare un equilibrio personale e spirituale e quanti attratti solo da miti, leggende, curiosità?

Ogni volta – e non è successo di rado negli ultimi anni – che qualcuno mi ha raccontato della sua recente conversione al buddismo, mi sono sempre venute in mente le parole dell’unico monaco buddista che abbia mai sentito parlare dal vivo: proprio come nel cattolicesimo, c’è in atto la più grave crisi vocazionale di sempre, il che  significa che di venerabili e monaci buddisti ordinati nelle iconiche vesti arancioni ce ne sono sempre meno.

Chi decide di convertirsi al buddismo in Italia, inoltre, pratica il cosiddetto buddismo della Via di Mezzo (o “Nobile Ottuplice Sentiero”, per chi abbia più familiarità con i principi buddisti), ossia il buddismo come ricerca di una vita equilibrata attraverso principi come la retta visione, la retta intenzione, la retta parola predicate dal Buddha Shakyamuni nel celebre sermone del Parco delle Gazzelle di Sarnath. Se visto come filosofia di vita più che come pratica religiosa, insomma, il buddismo vive oggi un picco di popolarità, anche in un paese tradizionalmente cattolico come l’Italia.

I numeri del buddismo in Italia

Quando si parla di buddismo in Italia, del resto, si fa riferimento — e la cifra, per quanto ufficiale, è di certo sottostimata — a oltre duecentomila fedeli. La religione buddista è la terza religione per penetrazione e numero adepti, dopo Cristianesimo e Islam. Un’importante distinzione va fatta però tra i cosiddetti buddisti etnici, e cioè gli immigrati di Paesi asiatici e non dove il Buddismo è la religione ufficiale e che giunti in Italia continuano a professare la loro fede, e gli italiani convertiti al Buddismo. La differenza non è solo numerica — con i primi che, prevedibilmente, superano i secondi — ma si riflette sulla vita della comunità buddista italiana e sulla partecipazione dei singoli a questa.

Per una breve  storia del buddismo in Italia

Per capire meglio, però, che cosa significa far parte della comunità buddista italiana serve guardare seppure brevemente alla storia del buddismo in Italia. Mentre in America, negli altri paesi europei e più in generale in Occidente l’interesse per il buddismo e le altre religioni e filosofie orientali è più vecchio, nel nostro Paese solo la ventata hippie degli anni ‘60 e ‘70 sdoganò quella buddista come una sorta di disciplina di ricongiungimento olistico col tutto.

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I Beatles, simbolo di una generazione, durante il loro viaggio in India, si avvicinarono a una sensibilità buddista.

Non sarebbe strano così se, anche tra chi oggi si dice buddista convinto e, sono pronta a scommettere, tra quelle stesse persone che con tanta verve mi hanno raccontato della loro conversione al buddismo e delle gioie del praticare il buddismo in Italia, ci fosse qualcuno ancora convito che buddista sia chiunque creda in concetti come karma, reincarnazione, nirvana: sono concetti che fanno parte, sì, della tradizione buddista, ma accanto ad altri principi ben più importanti per la Dharma.

C’è stato davvero un monaco buddista italiano negli anni Venti?

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Salvatore Cioffi è conosciuto come il primo monaco buddista italiano.

Chi si trovi per la prima volta di fronte a realtà nuove e che non conosce, del resto, non è raro che rimanga colpito innanzitutto da aneddoti, curiosità o persino leggende metropolitane che ben poco, però, hanno di fondato. Non ci si può avvicinare, così, anche solo con la voglia di saperne di più, alla grande questione del buddismo in Italia senza imbattersi nella storia di Salvatore Cioffi, riconosciuto da alcuni come il primo monaco  buddista italiano. Nato in una famiglia molto cattolica – uno dei sei fratelli, quasi contemporaneamente alla sua conversione al buddismo, era diventato monaco gesuita – dopo aver conseguito un baccalaureato in scienze alla New York University e aver lavorato come analista chimico per la P&G, aveva intrapreso la lettura del ″Cammino del Dharma, uno dei testi principali del canone buddista, cosa che lo portò velocemente alla conversione.

A metà degli anni Venti del Novecento, così, cominciò un viaggio in Oriente che lo avrebbe portato in Birmania dove venne ordinato, appunto, monaco buddista. Qualche anno più tardi alla pratica dell’ascesi, del pellegrinaggio e a un regime alimentare vegetariano aggiunse il voto di non sdraiarsi più, cosa che lo portò a dormire per il resto della propria vita in posizione seduta da meditazione.
Passò buona parte della propria esistenza dedicandosi alla raccolta di fondi per le missioni, alla divulgazione buddista e scrivendo anche delle opere di mano propria. Partecipò, ancora in Birmania, all’organizzazione di un movimento non violento anti-britannico, cosa che allo scoppiare della Seconda Guerra Mondiale gli costò l’internamento in un campo di concentramento britannico.

Dopo la morte avvenuta per cause naturali – un tumore al cervello per il quale rifiutò le cure – la famiglia Cioffi rivendicò dal governo birmano le somme raccolte dal monaco durante i suoi anni di pratica buddista.

L’Unione Buddista Italiana: ovvero, come il buddismo in Italia venne riconosciuto religione

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Il simbolo dell’UBI – Unione Buddista Italiana.

Continuando a studiare il fenomeno del buddismo italiano, ci si accorge presto comunque che, come in molti altri campi, l’associazionismo e l’esistenza di organi di rappresentanza, ben più dell’esistenza e della mitologia di personaggi come questi, hanno giocato un ruolo fondamentale per la diffusione del buddismo in Italia.

A metà anni Ottanta nacque, per esempio, l’Unione Buddhista Italiana (in sigla, UBI): si tratta di un’associazione, simile nel mandato e nella missione a quelle che esistono in molti altri Paesi, che rappresenta tutti i centri buddisti presenti sul territorio italiano.
La lista di questi ultimi, di membri e associati dell’UBI, si è andata allungando nel tempo, mentre nasceva tra l’altro anche un’Unione Buddista Europea con cui l’UBI è oggi consociata.
Invariato ne è rimasto invece il mandato, quello di «rispondere alle richieste sempre più numerose degli italiani interessati al buddhismo, aiutare la conoscenza degli insegnamenti del Buddha secondo le varie tradizioni, sviluppare le relazioni tra i vari centri esistenti in Italia, stabilire relazioni ufficiali con lo Stato italiano […], tutelare i diritti dei praticanti, siano essi cittadini italiani che buddhisti provenienti dai paesi asiatici e residenti nel nostro paese», come si legge sul suo sito ufficiale.

Il punto più interessante è, certo, quello che riguarda i rapporti con lo Stato italiano. Nel 2012, infatti, la Camera ha ratificato un’intesa tra il governo italiano e l’UBI – per cui le trattative erano iniziate oltre dieci anni prima – in base alla quale il buddismo in Italia viene ufficialmente riconosciuto come religione.
Una delle conseguenze più evidenti e curiose? È che, dal 2013, chiunque compili la dichiarazione dei redditi può decidere di devolvere il proprio 8 per 1000 all’Unione Buddista. 8 per 1000 che, come per la Chiesa Cattolica, dovrebbe essere utilizzato per iniziative a scopo socio-culturale o umanitarie e assistenziali.

Come si diventa buddisti in Italia

Chi si avvicina per la prima volta al buddismo in Italia, comunque, potrebbe trovare interessanti soprattutto informazioni su come si diventa buddisti. L’educazione cristiano-cattolica che la maggior parte di italiani ha ricevuto, infatti, può fare pensare alla necessità di un rito di passaggio come il battesimo che segni l’appartenenza alla comunità buddista. Non è così e anzi, come si accennava, la maggior parte dei buddisti italiani si avvicinano alla religione a partire da pratiche come lo yoga, diventato oggi uno sport a tutti gli effetti e praticato anche senza un particolare intento religioso-spirituale.

Dall’usare le asana come forma di allenamento all’avvicinarsi ai testi buddisti il passo è breve e, in genere, il primo step verso la conversione di molti buddisti italiani è stato, appunto, l’interesse filosofico verso la disciplina.

Un passo ancora successivo è il rivolgersi a un’associazione, un centro, un tempio buddista: tra chi lo frequenta, infatti, ci sono in genere maestri o guide spirituali capaci di aiutare ciascuno a trovare, non solo la propria dimensione personale, ma anche il suo ruolo nella comunità buddista. Per quanto la religione abbia una spiccata componente individuale, infatti, la comunità è costantemente impegnata in attività culturali, assistenziali, di divulgazione. La comunità buddista cinese del quartiere Esquilino a Roma, per esempio, è non solo la più coesa ma anche una delle più grandi d’Europa: anche la struttura del tempio di Hua Yi Si è una dei più grandi a livello europeo.

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Il tempio di Hua Yi Si è il luogo di culto della comunità buddista cinese di Roma.

I principali tempi e centri buddisti in Italia

Tra gli altri centri buddisti italiani famosi non si può dimenticare, certo, la Pagoda della Pace di Comiso (in Sicilia), forse la prima roccaforte buddista in Italia.

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La Pagoda della Pace, a Comiso, è uno dei primi centri buddisti sorti in Italia.

A Pomaia, in provincia di Pisa, c’è uno dei più grandi e frequentati centri di buddismo tibetano: l’Istituto Lama Tzong Khapa. Ci sono centri buddisti anche in Calabria e in Sicilia e, tra i compiti dell’UBI, c’è quello di tenere aggiornata una sorta di mappa che aiuti gli italiani che vogliono avvicinarsi al buddismo a trovare un punto di riferimento.

Anche Napoli, da fine 2017, ha un centro come l’Istituto Lama Tzong Khapa che organizza svariate attività, anche collaterali alla semplice divulgazione della disciplina buddista. Il tempio buddista di Frullone, appena alla periferia della città, è il più grande d’Europa, da alloggio a numerosi monaci buddisti e rappresenta un riferimento per la comunità Srilankese.

È solo se si ha modo di visitare dal vivo uno di questi centri buddisti in Italia che ci si rende conto, comunque, di quanto operosa sia la vita al loro interno e animata non soltanto da mistici che hanno scelto la via dell’abito monacale ma, soprattutto, da volontari e laici.

Di che corrente sono i buddisti italiani?

Certo, anche quando si tratta di templi buddisti in Italia, le curiosità non mancano.

Non molto tempo fa, per esempio, ha fatto scalpore la costruzione a Corsico, nell’immediato interland milanese, di un enorme kaikan, un centro che promette di essere la grande Mecca di chi in Italia professa la Soka Gakkai. L’edificio copre un’area di oltre 18mila metri quadri ed è rappresentativo della popolarità che ha raggiunto nel nostro Paese questa particolare scuola buddista.
Decisamente laica rispetto a tutte le altre correnti, la Soka Gakkai è il buddismo della vita di tutti i giorni, quello praticato da manager e operai, tanto quanto da vip − tra i simpatizzanti, si dice, ci siano state anche Serena Guzzanti e Carmen Consoli − e che insegna, in estrema sintesi, che si può essere felici imparando a gestire il proprio rapporto con l’esterno, piuttosto che limitarsi a dipendere dall’esterno.

Il numero di adepti, in questo caso più che in tutti gli altri, avrebbe tassi di cresciuta davvero molto significativi e la comunità italiana rappresenterebbe una delle più nutrite − se non la più nutrita − a livello europeo.

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A Corsico, nell’immediata periferia milanese, si trova uno dei più grandi centri della scuola buddista Sokka Gakkai.

È difficile, del resto, dire con precisione a quali correnti appartengano la maggior parte dei buddisti italiani, se il buddismo zen in Italia o il buddismo tibetano in Italia siano quelli numericamente più praticati. Anche la differenza tra correnti − Theravada, Mahayana, Vajrayana, eccetera − ha a che vedere, del resto, soprattutto con una diversa interpretazione dei Canoni del buddismo. Quello che storie come quella della comunità della Soka Gakkai raccontano è soprattutto che il buddismo in Italia, praticato da buddisti italiani, sembra avere più le parvenze di uno stile di vita, che di un vero e proprio credo religioso.

5 pensieri riguardo “Buddismo in Italia: i numeri, le figure chiavi, i centri in cui avvicinarsi alla disciplina

  • 18 Dicembre 2021 in 14:48
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    Sono entrata per sapere di più , da molto tempo , lego , penso,sento…e sono attratta dell’idea ,che ultima parte della mia vita , voglio capire di più su tutto!!Ed il cristianesimo ,non mi da le risposte che voglio

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    • 25 Febbraio 2022 in 14:55
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      Ubi non va presa come riferimente esc,lusivo dal momento che rappresenta solo una parte dei buddisti italiani, quelli di osservanza hinayana theravada. Essi sono una minoranza. La piú grossa comunità buddista in Italia é rappresentata dalla SGI che conta piú di 100.000 aderenti. La Soks Gakkai Italiana non fa parte dell’ubi. Per questo non viene presa nella giusta considerazione.

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    • 8 Agosto 2022 in 8:02
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      Se non si trova la risposta è perchè non è chiara la domanda

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  • 5 Giugno 2022 in 13:30
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    Cosa parzialmente non vera. Poiché non rappresentano solo quelle da te citate. Basta semplicemente consultare la pagina dei centri UBI.

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